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La storia

Una pordenonese ricuce gli strappi tra i quartieri con l'arte: «Grazie ai murales le città sono rinate»

L’intervista a Maria Bressan, nata e cresciuta a Pordenone e da tempo nella città toscana di Carrara

Maria Bressan, in arte Rosmunda, è una giovane artista pordenonese di 30 anni che si è trasferita fino a Carrara per seguire i propri sogni. Prima per studio, frequentando i corsi di scultura all’accademia delle Belle Arti, e poi per lavoro, fondando, insieme alla collega Fiammetta Ghiazza, un atelier proprio nella località toscana. «Ho sempre avuto la passione per il disegno fin da bambina», afferma nel corso dell’intervista. Una passione che non l’ha mai abbandonata fino alla definitiva svolta nel 2020, quando si è dedicata letteralmente alla street art - realizzando dei murales di valore sulle facciate delle città italiane - fino al grande salto chiamato Studio Brezza. 

Come è partito questo progetto?

«Dopo il periodo del covid abbiamo scelto di buttarci in questa nuova avventura. Fiammetta proviene da uno studio più incentrato sulla grafica mentre io ho studiato scultura anche se sono da sempre legata al disegno e alla pittura. Tutto questo non ci ha limitato. Anzi, è stata proprio questa differenza di visioni e di esperienze ad averci portato fino a qui».

Insomma, una sfida non da poco

«Ma è stata del tutto naturale. E le richieste, fortunatamente, non mancano. Abbiamo lavorato tanto in Toscana, Veneto e Piemonte. Eppure capita molte volte di avere anche dei progetti separati. Lei ad esempio ha seguito dei cantieri come assistente a Brescia mentre io mi trovavo a Roma per altri progetti». 

Le foto dello Studio Brezza, fondato da un'artista di Pordenone

Dunque spostarvi non è per voi un grosso problema 

«Assolutamente no! Se c’è una cosa che abbiamo imparato è che non è un mestiere sedentario. Devi essere capace di destreggiarti, riuscire a trovare più contatti possibile. E alla fine tutto questo viene ripagato sia a livello personale che artistico perché ti rimangono veramente dei bei ricordi e belle amicizie, oltre ad avere la possibilità di visitare posti sempre nuovi». 

Che cosa vede quando si trova di fronte a un muro lindo?

«È come se fossi davanti a un banco di dolciumi davanti alla pasticceria (ride). Capita molto spesso quando giro per le città che non conosco e se vedo una parete senza finestre e con dei muri puliti sto già pensando all’opera che voglio realizzare». 

Il disegno tipo?

«Sono sempre stata molto legata al mondo della mitologia degli animali. Mi ha sempre affascinato perché mi ha sempre permesso, anche a livello simbolico, di raccontare qualcosa della personalità umana e della cultura del territorio. Per esempio quando sono stata in Spagna quest'estate ho realizzato un murale che raffigurava un pezzo della tradizione popolare del luogo. Per cui mi sono sempre posta come obiettivo di trovare un nesso tra l'identità locale e la mia opera. Parte della mia ricerca si focalizza inoltre sull’estetica e sul piano cromatico ispirandomi molto alla nostra cultura Pop».

L’arte può essere considerata anche un atto politico?

«Lo è. Ma nel mio caso coincide più con il concetto di rigenerazione urbana e  sociale rispetto a un’ideologia ben precisa. Qui a Carrara, per fare un esempio, nel 2018 c’è stato un esperimento di riqualifica spontanea che ha davvero funzionato. Si chiamava “Adotta un vicolo”, un invito a restituire bellezza al quartiere al quale hanno aderito vari artisti locali, e la cosa interessante è che nel momento in cui sei per strada a lavorare cominci a relazionarti con le persone e gli abitanti del posto. Un processo che avviene in maniera del tutto automatica che ci ricorda l’importanza dei borghi e della loro storia. Questo per me è politica: creare un legame con il territorio».

Se le offrissero un lavoro a Pordenone quale sarebbe il suo progetto ideale?

«Partirei dalle case popolari di Rorai con un progetto che coinvolga tutta la popolazione, dai bambini agli adulti. Secondo me è questa la vera azione efficace della street art. Realtà come come Orgosolo e San Sperate ci insegnano proprio perché il muralismo è davvero l’arte partecipata per eccellenza, vista dal paese non tanto come un movimento pittorico, quanto come uno strumento in grado di salvare la comunità rendendola sempre più unita». 

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