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La lettera degli studenti del Kennedy al Ministro Valditara: «Scuola come una seconda casa, vogliamo un confronto»

Il testo, inviato anche al direttore dell’ufficio scolastico regionale, mostra tutto il disagio degli alunni e l’assenza di dialogo con la dirigenza

«Noi, studenti del Kennedy». Inizia così la lettera firmata da mille ragazzi dell’istituto pordenonese inviata al Ministro Valditara e al direttore dell’ufficio scolastico regionale. Un testo dove emerge il disagio e il malessere già espresso in occasione della protesta avvenuta lo scorso 29 maggio davanti all’ingresso della scuola. In quel caso avevano scelto il silenzio, lasciando la libertà di espressione agli striscioni appesi e apparsi nel corso del sit-in. Oggi, con il testo inviato ai principali rappresentanti delle istituzioni scolastiche, hanno invece scelto di parlare. E lo hanno fatto con un segnale forte nei confronti della dirigenza a cui hanno chiesto di instaurare un dialogo con gli studenti dell’istituto. 

Gli attriti

Quel “Noi” viene ripetutamente utilizzato come a sottolineare un senso di appartenenza a questa scuola che è sempre stata un punto di riferimento della città: «Siamo quelli che sono sempre stati orgogliosi di portare avanti il nome di questo Istituto, quelli che si sono sempre vantati di far parte di questa scuola, quelli che dovrebbero portare l'innovazione nel territorio, ma ormai siamo quelli che non riescono più ad esserlo». Il Kennedy, oltre che per la preparazione e per le opportunità di lavoro, si è sempre distinta per un gruppo studentesco molto unito, «sempre in collaborazione con docenti e presidenza per la propria crescita personale professionale». Quella condizione, secondo gli studenti, sembra essere lontana. «Non ci sentiamo più parte integrante della vita scolastica, non ci sentiamo più presi in considerazione quando si tratta di fare scelte, non ci sentiamo più ascoltati». Proposte, idee, iniziative non vengono prese in considerazione dalla dirigenza. E spesso senza una vera e propria motivazione secondo quanto emerge dalle parole degli alunni. «Tutto ciò che è al di fuori dell'ordinario sviluppo delle lezioni, viene considerato in principio inutile. Ci viene imposto di evitare la novità, di restare tradizionali, per poi sapere che da Noi ci si aspetta solo l'innovazione». 

I tentativi

Gli studenti hanno provato più volte a sfruttare i canali previsti dalla legge, a cominciare dalle richieste di assemblee di classe seguendo certe linee guida «a nostro avviso eccessivamente stringenti». Ma quel che colpisce della lettera sono due passaggi in particolare che sono dedicati ai verbali di ogni incontro, spesso vengono spesso «rifiutati per motivi che Noi riteniamo futili». Stessa sorte per i verbali delle sedute del consiglio di istituto «che sono tenuti, non si sa per quale motivo, nascosti alla comunità scolastica, lasciando noi tutti esclusi e non informati su ciò che accade all'interno della nostra scuola».

Confronto

Ciò che manca, secondo i rappresentanti, è dunque una finestra di dialogo che consenta di comunicare con i vertici della scuola. Anche se preoccupa la tensione che si è venuta a creare fino ad ora. «È evidente come ci sia addirittura paura a parlare all'interno della nostra scuola, sapendo di essere sempre sotto costante controllo. Una delle prime cose che ci vengono dette sin dal primo anno è: "Attenti, in questa scuola anche i muri hanno occhi e orecchie, non dite mai qualcosa di compromettente"».
Gli studenti aprono a un confronto e chiedono di essere quantomeno ascoltati.   «Non abbiamo mai preteso e mai pretenderemo che una nostra proposta sia accettata sin da subito. Crediamo sia legittimo avere la possibilità di discutere e di esprimersi. La scuola dovrebbe essere per noi una seconda casa, un luogo sicuro in cui crescere, che perciò richiede serenità al suo interno. Questo, purtroppo, manca da tanto, forse troppo tempo». 

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