Walkabout, un ascolto per immagini di Pordenone seguendo la via dell'acqua
Per la prima volta viene presentato a Pordenone Walkabout/Promenade, una passeggiata, con testo e suono in cuffia, alla scoperta di visioni e percorsi inusuali di uno dei centri più dinamici del Friuli Venezia Giulia. È un progetto performativo con la regia di Ruggero Franceschini che nasce dalla fusione dei diari di viaggio dell’autrice Sonia Antinori (Cuba, Burkina Faso, Messico, Australia) con la ricerca di immagine della fotografa Lucia Baldini e con la musica originale del compositore musicista Arlo Bigazzi.
La versione Promenade di Walkabout nei territori attraversati assurge a valore di azione che valorizza le singolarità di un patrimonio naturalistico e culturale appartenente alla comunità.
La tappa pordenonese
Dopo le date milanesi, marchigiane e romane, il progetto arriva a Pordenone nell’ultimo weekend di maggio: venerdì 26, sabato 27, domenica 28 (venerdì ore 17.30; sabato e domenica ore 10.30). Organizzato in collaborazione con Carla Manzon, Roberta Garlatti accompagna i partecipanti lungo un itinerario naturalistico, seguendo la via dell’acqua, per una immersione paesaggistica. Partenza dal ponte di Adamo ed Eva (ponte storico in pietra, costruito nel 1550, che collega la città e il porto alla chiesa della Santissima Trinità), arrivo al Museo Archeologico, Castello di Torre. In caso di pioggia la partenza sarà sempre dal Ponte di Adamo ed Eva ma l’arrivo sarà al Chiostro della Biblioteca Civica.
Il progetto
Walkabout è un lavoro che, indagando conflitti culturali, sociali ed economici con un’osservazione partecipata, articola un ragionamento su discipline diverse (storia, geografia, antropologia) grazie a un’attitudine di studio del presente che è possibile ascrivere alla sfera della geopolitica.
Il termine walkabout, reso celebre nel mondo occidentale da Bruce Chatwin, deriva dalla cultura aborigena australiana e in particolare dalle cartografie orali che, combinando esplorazioni a piedi con camminate e canti (parole in versi) creavano una mappa del deserto condivisibile e trasmissibile di generazione in generazione. Attraverso una pratica nomadica si attiva quell’esperienza poetica che favorisce il processo di immersione in una realtà ‘altra’ esplorata attraverso il movimento e il guardare.