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A "IN ALTRE PAROLE"

Dai pregiudizi per il colore della pelle alla toga da avvocato a Pordenone: Barbara Ababio si racconta da Massimo Gramellini

Protagonista a "In altre parole"

«Sono Barbara Ababio e sono un avvocato». Barbara Ababio racconta la sua storia incominciando dal punto d'arrivo, il traguardo che ha faticosamente raggiunto da qualche settimana, quello di diventare la prima avvocatessa di origini africane del foro di Pordenone.

Un risultato che, la 32enne italiana di seconda generazione, ha ottenuto, come sottolineano anche sulla pagina Facebook del programma 'In altre parole', condotto da Massimo Gramellini, «non dovendo vedersela soltanto con i codici e con i manuali di diritto, ma anche con i pregiudizi e con quella che lei definisce 'ignoranza sottile' (non razzismo)».

Nel servizio andato recentemente in onda su LA7, realizzato da Lara Bonasera, ricorda che è nata a Palermo da genitori ghanesi. «Mia mamma faceva la badante a mio papà - dice sorridendo - non era proprio un cuoco, un lavapiatti».

Il trasferimento nel Pordenonese avvenne quando lei aveva circa 8 anni e i suoi trovarono lavoro in fabbrica. «In classe ero l'unica ragazza nera, cercavano di non farmelo pesare...ancora adesso c'è chi mi dice come parli bene l'italiano», sorride, ma non nasconde una punta di amarezza. «Quando sono andata a fare l'esame di Stato con altri ragazzi, l'esaminatrice si è rivolta a me dicendomi, tu sei venuta ad assistere oppure ad accompagnare? No, sono anche qui per dare l'esame. Sembrerebbe che non si sia abituata l'Italia, a vedere ragazzi italiani come me», sottolinea.

«Sono abituati ai nostri genitori che fanno gli operai o lavorano nei campi, alle nostre madri che fanno le donne delle pulizie», ricorda l'avvocato Ababio. «Puoi cercare di amalgamarti, puoi cercare di raffinare il tuo accento friulano, comunque sì, ricordati che sei nera», sostiene l'avvocato Barbara Ababio che ricorda quando doveva andare in questura per rinnovare il permesso di soggiorno, facendo la fila al freddo per ore, ore e ore, ritornando a casa senza aver ottenuto l'appuntamento. 

Ricorda come la mamma le dicesse di studiare, attribuendo allo studio la possibilità di cambiamento, di aprire quella porta che a lei era sempre rimasta chiusa.  «Una porta che portava all'accettazione, all'affermazione, al far sentire la propria voce, ai propri diritti», rivela. L'avvocato Barbara Ababio ricorda quando seguiva le prima udienze da praticante e venne scambiata dal giudici, che poi si scusò, per l'imputato.

«Non sono abituati? Si abitueranno. Si abitueranno e a oggi si sono abituati i giudici che mi riconoscono, sanno chi sono e so che entro in quell'aula e come ci sono entrata io ci sono tanti altri che entrano e che entreranno. Mia mamma mi ha sempre detto, Barbara porta con fierezza quello che sei, mi ha sempre insegnato questo. Quello che abbiamo dentro non ha colore, questo è quello che io mi sono sempre portata. La legge è uguale per tutti perché non guarda l'uomo fuori. Dal momento che tu ti fermi solo all'apparenza, non guardi il comportamento di una persona nel giudicare che uomo è, quella è l'ignoranza. La legge non ammette ignoranza», conclude.


 

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