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Divorzio, la Cassazione conferma: assegno di mantenimento anche per le unioni civili

Il Tribunale si era già espresso nel 2019 con quella che fu la prima sentenza di divorzio tra persone dello stesso sesso, una delle quali residente a Pordenone. La Corte d’Appello ribaltò la decisione del giudice ma la Cassazione ha giudicato corretta la decisione di tenere conto della convivenza prima della legge Cirinnà.

La Corte suprema di Cassazione - sezioni unite civili - con sentenza n. 35969 del 27 dicembre 2023 si è pronunciata su un caso di separazione tra due persone di Mira e di Pordenone, unite civilmente nel 2016. Sul tavolo c'era il riconoscimento del diritto all'assegno di mantenimento in favore della parte che, secondo quanto dichiarato, non è più in grado di mantenere le stesse condizioni di vita prima e durante la convivenza di coppia. La Cassazione, come riporta l’avvocata Maria Antonia Pili, ha di fatto confermato quanto stabilito dal Tribunale di Pordenone nel 2019, stabilendo che l'assegno deve tenere conto del periodo di convivenza, anche prima dell'entrata in vigore della legge Cirinnà (n. 76). 

I fatti

Il rito è stato celebrato ufficialmente nel 2016. La coniuge di Venezia aveva scelto di trasferirsi a Pordenone rinunciando al lavoro, ma dopo tre anni avevano deciso di separarsi. La decisione del giudice Gaetano Appierto è stata resa nota nel mese di marzo del 2019. Una sentenza che ha fatto scalpore all'epoca essendo stata una delle prime legate alle unioni civili. Il magistrato ha ritenuto opportuno applicare l'assegno di mantenimento visto lo «squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali tra le parti». Una differenza in parte dovuta anche alle scelte di vita nel corso della relazione. Per questo il giudice ha tenuto conto anche della convivenza "di fatto" prima che venisse celebrata l'unione civile dato che la legge è entrata in vigore solo nel 2016. 

«Appare altamente verosimile - si legge nella sentenza - che nel corso della stabile convivenza delle parti in causa, con inizio già nell’autunno del 2013, fossero state adottate dalla donna economicamente più debole decisioni in ordine al trasferimento della propria residenza ed alla attività lavorativa dettate non solo dalla maggior comodità del posto di lavoro rispetto ai luoghi di convivenza (Pordenone piuttosto che Mira), ma anche dalla necessità di coltivare al meglio la relazione e trascorrere quanto più tempo possibile con la propria compagna, non comprimendo il tempo libero con le ore necessarie per il lungo trasferimento per almeno due volte al giorno».

Il giudice all'epoca aveva dissato l'assegno a 350 euro al mese, ma la Corte d'Appello aveva ribaltato la sentenza sul riconoscimento dei diritti stabiliti dopo la separazione, sostenendo che la norma non poteva avere un effetto retroattivo. Da qui si è arrivati alla sentenza della Corte di Cassazione che ha invece giudicato corretta la decisione di tenere conto della convivenza prima della legge Cirinnà. 

«Negare - si legge nella motivazione - la convivenza di fatto tra persone del medesimo sesso per il solo fatto che la relazione ha avuto inizio in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, si tradurrebbe inevitabilmente in una violazione dell'art. 8 della CEDU, oltre che in un'ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali, il cui proposito di contrarre un vincolo formale non ha potuto concretizzarsi se non a seguito dell'introduzione della disciplina delle unioni civili, a causa della precedente mancanza di un quadro giuridico idoneo ad assicurare il riconoscimento del relativo status e dei diritti ad esso collegati».

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